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E’ boom di dimissioni dal lavoro, in America e non solo. Perché?

E’ boom di dimissioni dal lavoro, in America e non solo. Perché?

 

Le “grandi dimissioni”: probabilmente scriveranno così i libri di storia del futuro rispetto agli anni 20 del 2000.

Molto lavoro e altrettanti licenziamenti dalle aziende; è il quadro generale che descrive una situazione che accomuna tanto l’Europa quanto l’America.

Il problema? Le aziende faticano a trovare risorse umane per la loro ripresa economica.

Prendiamo alcuni esempi. Negli Stati Uniti, a marzo 2021, le dimissioni registrate hanno toccato il 2,4%; numero record se paragonato allo sviluppo del loro paese nell’arco degli ultimi 30 anni. In Gran Bretagna, solo ad agosto, sono state 4,3 milioni le persone che si sono dimesse da bar, ristoranti, alberghi, esercizi commerciali e sanità. Ma i lavoratori scarseggiano anche in Germania, così come in Italia e nel resto dell’Europa.

Ora è più facile intuire perché le aziende siano alla disperata ricerca di personale. In America, molte imprese sono addirittura arrivate ad offrire premi con il mero scopo di attirare candidati. I bonus indirizzati a tecnici informatici, per esempio, vanno dai 50 ai 100 mila dollari. A Seattle stanno offrendo incentivi di 5.000 dollari alle infermiere, 3.500 agli autisti di autobus, 500 al personale delle mense. Persino il colosso Amazon è sceso in campo. Se andrai a lavorare per Jeff Bezos nei mesi delle consegne natalizie riceverai 3.000 dollari extra rispetto al salario concordato.

Ma com’è possibile tutto questo?

Dimettersi da un’attività è sempre stato molto complicato, lasciare ha dei costi molto più alti rispetto a quelli da affrontare restando. Nell’ultimo anno, però, questa situazione è cambiata. La pandemia ci ha consentito di ridurre le spese e risparmiare denaro per compiere il passo decisivo. Ce lo spiega anche il dott. Anthony Klotz, professore di Management alla Mays Business School del Texas: “La combinazione di un livello di stress più alto e di una maggiore stabilità finanziaria è la ricetta perfetta per un maggior numero di dimissioni”.

Un report di Microsoft (https://www.microsoft.com/en-us/worklab/work-trend-index/hybrid-work) ha individuato sette condizioni che portano il 40% delle persone a pensare di licenziarsi entro l’anno. Di seguito, ne vediamo alcune.

Vivere a rallentatore e chiusi in casa lontani dalla frenesia di ogni giorno ci ha spinti a guardarci dentro, a interrogarci sul senso della vita e a cercare di capire come riprendere il controllo di noi stessi, portandoci così a dare più importanza alla famiglia, agli hobby, agli interessi e a tutto ciò che prima del Covid-19 veniva rinviato.

Moltissimi sono riusciti a reinventarsi all’interno delle 4 mura di casa e a far diventare quella che prima era una passione (quasi dimenticata) un lavoro part-time.

E’ così che si “rischia”, cambiando strada professionale, iniziando una nuova carriera o avviando un’attività in proprio.

Altro fattore è rappresentato da una forza lavoro esausta. Molti dipendenti sono, infatti, esasperati. Basti pensare ai sanitari che, durante questa pandemia, hanno vissuto mesi terribili negli ospedali affollati e costretti a turni insostenibili.

Stesso discorso per gli addetti ai supermercati che, come i precedenti, non si sono mai fermati seppur sottoposti a condizioni di lavoro difficili per garantirci un buon servizio.

D’altro canto, ci sono realtà che hanno fatto i conti con le novità portate dalla pandemia. Prima fra queste quelle manageriali, i cui ambienti lavorativi sono stati invasi dai mezzi digitali permettendo la riduzione dei preziosi tempi di pausa che i lavoratori erano soliti concedersi.

I meeting, per esempio, registrano una durata maggiore rispetto a qualche anno fa; gli incontri, i viaggi sono stati sostituiti dalle videoconferenze ed ecco che i dipendenti risultano stressati e spesso si sentono in gabbia. Passiamo molto più tempo al telefono; i messaggi in chat tra persone sono aumentati del circa il 45%, è sempre Microsoft a dirlo.

Il Covid-19 ci ha permesso di conoscere e sperimentare anche lo smart-working. Provare gli innumerevoli benefici di questa soluzione, ci ha spinti all’avversione per il ritorno al lavoro completamente in presenza in ufficio.

Del resto i dati di Microsoft parlano chiaro anche in questo caso. A definire il futuro delle imprese post-pandemia saranno l’estrema flessibilità da parte delle aziende e questa tipologia di lavoro ibrido (che combina quello da remoto e la presenza in ufficio). Sostanzialmente lo smart-working è arrivato per restare.

In conclusione? Le aspettative dei lavoratori stanno cambiando; la produttività andrebbe definita in modo molto più ampio includendo collaborazione, apprendimento e benessere per guidare l’avanzamento di carriera di ogni dipendente, qualsiasi tipo sia il settore di lavoro.

di Ilaria Cupelli

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